II del tempo ordinario C
16 gennaio 2022
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
Che parole cariche di speranza e di tenerezza, quelle del profeta Isaia. Parole per il popolo eletto di Dio, parole per noi, popolo santo di Dio. Parole cariche di sentimenti di amore e di compassione, l’amore e la compassione dello sposo per la sposa, di Dio per la Chiesa. Dio non abbandona la sua sposa, Dio non abbandona la sua Chiesa, Dio la raccoglie e la raduna, a lei si lega con un vincolo di amore eterno, tanto da riscattarla dalla sua condizione di abbandono, per darle una dignità nuova.
Quale onore per questa povera Chiesa, composta da uomini e donne fragili e peccatori, ma santi e amati da Dio. Quale mistero di amore riveste questa fragile Chiesa, votata all’abbandono perché prostituita agli idoli e alle divinità di allora come di oggi; ma Dio la raccoglie dai cigli della strada per una nuova vita, una nuova stima, un nuovo decoro.
Non possiamo restare indifferenti di fronte all’amore del nostro Dio che non si ferma e ancor di più effonde la sua grazia e la sua misericordia, malgrado i suoi figli lo abbandonino lasciandosi sedurre dalle cose del mondo, scambiando lucciole per lanterne.
Continueremo a restare indifferenti? Non sia mai. Egli nel figlio suo Gesù Cristo ci ha mostrato tutto l’amore, la cura e la compassione per la sua sposa, per noi, sua Chiesa. Lo ha dimostrato a Cana, quando manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui, quando osservando la preoccupazione della Madre, obbedì al suo invito compiendo il primo segno, il primo miracolo a favore di quei giovani sposi. La cura della Madre, Maria, è la cura che la Chiesa ha per noi, suoi figli, che spesso manchiamo di vino, di vitalità, di spiritualità; è Gesù a dare senso e gusto alla nostra esistenza nella Chiesa, perché, mediante lo Spirito Dio ci chiama a dar vita alla Chiesa stessa, ciascuno nella sua parte. In un mondo di tuttologi, nel quale ognuno presume di sapere tutto, di fare tutto, di avere ogni cosa sotto controllo, lo Spirito Santo anima in noi ciò che possiamo fare e dare a servizio della Chiesa, sposa e madre. Per questo l’apostolo Paolo non esita a scrivere: A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue.
Ciascuno di noi ha in sé una potenziale forma di capacità da mettere al servizio della collettività, nella vita ecclesiale come in quella sociale. Non siamo chiamati a fare tutto, ma nello stesso tempo non siamo persone che devono tirarsi indietro con scuse o giustificazioni. Abbiamo in noi quello Spirito divino che cambia il sapore della nostra vita; abbiamo in noi quello Spirito divino che dà gusto alla nostra esistenza; abbiamo in noi quello Spirito divino che ci porta dall’essere cristiani annacquati a figli di Dio dalle caratteristiche squisite. Lasciamoci cambiare dal Signore, lasciamo che lo stesso miracolo compiuto per quegli sposi, avvenga anche nella sua Sposa, la Chiesa. Lasciamo che, come Gesù cambiò l’acqua in vino, possa cambiare in noi lo stile di concepire la Chiesa, che sentiamo così spesso lontana tanto da abbandonarla; mettiamoci piuttosto a servizio della comunità, non per fare tutto, non per fare troppo, ma per donare le nostre umili e semplici capacità che rendano la Chiesa una sposa magnifica, santa e amata da Dio.
Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore,
perché nutriti con l'unico pane di vita
formiamo un cuor solo e un'anima sola
per la tua gloria e nella tua Chiesa. Amen.