IV di Quaresima C
27 marzo 2022
C’è chi arriva e c’è chi parte. Il popolo di Israele giunto nella terra promessa può celebrare con esultanza la festa della Pasqua, la definitiva liberazione dalla schiavitù egiziana e il raggiungimento della promessa di Dio che donò al popolo eletto non più manna, ma i frutti della terra. L’alleanza tra Dio e Israele trova il suo coronamento, ma non il suo compimento. Questo avverrà solo nella vera Pasqua, quella di Cristo, che libera noi, popolo della nuova ed eterna alleanza, dalla schiavitù della morte.
La morte è comune eredità di tutti gli uomini, ma Dio nella morte del Figlio e nella sua Risurrezione ci dà la vera eredità che niente e nessuno potrà sottrarci.
Anche il figlio minore della parabola fa i conti con la morte: quella apparente del padre e la sua.
Chiede al padre il patrimonio che gli spetta, la sua eredità, benché il padre non sia biologicamente morto, ma era morto per lui che voleva staccarsi dal padre, dalla famiglia, dai suoi affetti. Questo capita quando i ragazzi crescono e, per dimostrare la loro capacità di autonomia e indipendenza, si staccano dalla famiglia, rifiutano ogni consiglio, diventano, come quel figlio, ribelli e ostili ad ogni cosa che genitori ed educatori offrono loro. Questo avviene nella Chiesa, quando, in modo particolare dopo aver ricevuto il sacramento della Cresima, ci si allontana dal Signore e dalla sua famiglia, continuando ad esigere dalla Chiesa servizi e prestazioni.
Chissà cosa cercasse quel ragazzo di così prezioso per allontanarsi da casa, pensando che l’eredità di suo padre gli permettesse di trovare la vera gioia. Chissà quante vie avrà percorso per raggiungere quello che desiderava, senza mai trovarlo. Sappiamo, infatti, che dopo aver sperperato tutto il denaro in divertimenti e passioni si trovò a fare i conti con la carestia, si trovò abbandonato a se stesso su una strada. Divertimenti e abbandono sono l’uno la conseguenza degli altri. Spesso si confonde il divertimento con la felicità e l’autonomia si trasforma in abbandono.
Divertirsi: letteralmente questo verbo significa “uscire di strada”, de-vertere, e uscire di strada comporta farsi male, lesionarsi, ferirsi, spesso anche in modo serio e grave, come alcuni incidenti stradali ci testimoniano. Ci si sente soli, abbandonati dalla vita, benché ci sembra di essere attorniati da soccorritori che vengono in aiuto. Ecco quindi arrivare la carestia: come a quel ragazzo uscito di casa per affermare la sua libertà, la carestia ci fa sentire la mancanza di tutto, degli affetti più veri, delle persone più importanti, dei legami più sinceri; tornano ad affiorare i ricordi più belli, le risate più care, i momenti più intensi. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Ma il padre, che non gli fece alcuna pressione per convincerlo a restare, che non si mise a cercarlo sulle strade delle città, che non lanciò alcun allarme, quando lo vide gli corse incontro, lo abbracciò e lo baciò, lo rivestì del vestito più bello e fece festa “perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Chi era morto veramente? il padre o il figlio? Chi si allontana dal Signore e dalla sua Chiesa pensando di non avere bisogno di Dio e della Chiesa, come chi pensa di allontanarsi dagli affetti più veri e più cari pensando di trovare, come Pinocchio, la felicità nel paese dei Balocchi, in realtà sta decretando non solo la morte dei legami più belli, ma la propria stessa morte convinto di percorrere vie di realizzazione attraverso divertimenti, ma quando ci si de-verte, si esce di strada, ci si fa male.
Con il profeta, attraverso le parole del salmo 25 chiediamo al nostro Dio:
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi.
Essere Chiesa significa camminare insieme lungo le vie di una comunità. Ogni via è simbolo della vita di ciascuno e strade diverse portano all’incontro con il Signore nella sua Pasqua attorno alla mensa dell’Eucaristia. È l’Eucaristia che ci permette poi di uscire verso il mondo e percorrere un’unica nuova strada, ritrovando i legami veri grazie al perdono dato e ricevuto, scambiato e vissuto.
Tornare, chiedere perdono, perdonare: non sono segni di debolezza, ma di vera forza, perché è più facile respingere che riaccogliere: ne è prova l’esempio del figlio maggiore, che non osa più nemmeno chiamare fratello il minore, ma al padre dice: «Questo tuo figlio». Non sia così tra noi. Quando infatti si ritorna a Dio, anche le relazioni acquistano di nuovo senso e spessore: ciò è giusto che avvenga non solo sul piano personale, ma anche nella Chiesa, nella comunità. Come potremmo chiamarci figli di Dio e dirci fratelli tra noi se ciò non avvenisse? Che cristiani saremmo?
Non importa se questo avverrà subito o ci vorrà ancora il tempo per sperimentare la carestia nel cuore; ciò che conta è sapere che l’amore di Dio, che si incarna negli affetti più veri, ci permetterà di perdonarci a vicenda, ritrovando con Dio e con i fratelli l’alleanza rotta dalla ricerca di chissà quale divertimento. Ciò che conta è ritrovare la via di casa; ciò che conta è tornare a casa.