XI del Tempo ordinario A
18 giugno 2023
La scena televisiva, da lunedì scorso, è stata tutta impegnata per la morte di Silvio Berlusconi. Ce ne siamo fatti una ragione: c’è chi si è contristato, chi ne è rimasto indifferente, chi ha criticato, ma di una cosa siamo certi: tutto passa.
Passa questo mondo, passano le persone famose, passano le notizie da prima pagina. Anche lui, il Cavaliere, passa e cosa ne resterà di lui non vogliamo certo esaminarlo in questo momento. C’è però una cosa che tutti deve farci riflettere e questa l’ha detta l’Arcivescovo Mario nella bellissima e stringata omelia ai funerali del presidente Berlusconi, del quale ha sottolineato: «È un uomo e ora incontra Dio».
In poche parole l’Arcivescovo ha delineato ciò che tutti ci riguarda: siamo uomini, amati o odiati, esaltati o rifiutati, con i nostri pregi o con i nostri difetti, con le cose belle compiute o con gli sbagli fatti; ma tutti, proprio tutti, saremo davanti a Dio. «Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di vita, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento».
Ciascuno vuole «amare e desiderare di essere amato. Amare e cercare l’amore, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande.
Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi.
Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento».
Ognuno vuole «essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria. Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia.
Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento».
A proposito di feste, festini e godere il bello della vita, il pensiero non può che andare a quei cinque, poco più che ragazzetti che, incarnando la gioventù di oggi – non tutta per fortuna – per la smania di apparenza e di soldi che ne derivano e l’assunzione di droga, per il noleggio di un’auto si sono recati in una concessionaria che ha come slogan: “Dalla Smart alla Supercar”. Se è vero che il pesce grosso mangia il pesce piccolo, l’epilogo è stato tragico: la Lamborghini, con a bordo i cinque giovani, schiantandosi proprio contro una Smart, ha ucciso un bambino di cinque anni, ferendo la madre del piccolo e la sorellina. Genitori senza più un figlio a causa della bestialità di ragazzi che, raggiunti dai loro genitori dopo l’accaduto – perché non si può chiamare incidente – si sono sentiti dire: «È stata una bravata, si risolverà tutto».
Che cosa si può dire?
L’apostolo Paolo, scrivendo ai Romani, sottolinea che quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Sì, Cristo è morto per noi che siamo gente comune con i nostri pregi e i nostri difetti, con le cose belle compiute o con gli sbagli fatti. Ciò che sempre deve sorprenderci è che ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
D’altronde cosa ha fatto Cristo? Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Ha chiamato a sé i Dodici e li ha inviati dicendo loro: «Predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Tra questi che Gesù stesso ha scelto come suoi apostoli, nessuno si poteva dire santo e immacolato; non solo: Pietro lo rinnegò, Giuda lo tradì, gli altri nel momento della prova fuggirono. Eppure si è fidato di loro. Non sono forse come noi che stiamo attaccati a Gesù quando abbiamo bisogno di un intervento dall’Alto e invece fuggiamo quando tutto va bene? O, al contrario, manifestiamo la nostra piena fede quando tutto va a meraviglia e nel momento della sofferenza ce la prendiamo con il Signore?
Cosa si potrà dire di questa società? Cosa si potrà dire degli uomini illustri? Cosa si potrà dire di quei ragazzi, di quei genitori e di tanti altri come loro? Cosa si potrà dire di noi? Cosa si potrà dire di ognuno? «È un uomo e ora incontra Dio».