XIII del tempo ordinario A

2 luglio 2023

 

Chi è quel padre o quella madre che non amano i figli più di se stessi? Cosa intende allora Gesù con quella espressione tanto forte quanto dura: «non è degno di me»? Sembrano i ricatti dei bambini o dei ragazzini: «Se vai con lui o con lei, non ti parlo più».

Più che un ricatto è una possibilità: può sembrare strano, eppure possiamo amare il padre, la madre, i figli e i fratelli e chiunque altro entri nella nostra esistenza solo se il nostro amore si conforma all’amore di Cristo, se il nostro modo di amare rispecchia il modo di amare di Gesù. E questo modo di amare lo si trova solo nella croce, rinunciando a se stessi per donarsi totalmente ai fratelli.

Chi non prende la sua croce e non segue il Signore non può capire come amare. La croce, infatti, non è simbolo di sofferenza, ma di amore incondizionato, proprio come quello di Cristo per l’umanità.

Tante volte pensiamo di amare solo perché vogliamo bene a qualcuno, come i ragazzetti che scambiano per amore una banale cotta o una semplice infatuazione. In realtà stanno pensando a se stessi, a soddisfare i propri impulsi e a fornire agli altri l’immagine di una persona che ce l’ha fatta, non so a fare cosa, ma penso nemmeno loro lo sappiano.

Amare è uscire dalla logica dell’io, per far entrare la logica di Dio; è uscire dalla logica dell’io per fare spazio a quella del tu. Cristo ci insegna questo con la sua croce: nessuno che ama soddisfa se stesso, ma dona la sua vita per l’altro.

La croce è un segno scomodo, non perché parla di morte e ancor prima di sofferenza, ma perché ci parla di amore e al giorno d’oggi è complicato amare.

Amare non è una questione di due cuori e una capanna, ma saper guardare l’altro con gli occhi di Dio, che ama, sì, ma perdona anche, è misericordioso, paziente.

Amare significa accogliere la vita dell’altro non per imporre la propria e nemmeno per annientarla, ma per donarla senza aspettarsi la ricompensa o il contraccambio. Quando si ama, si ama e basta, né poco né tanto, ma sempre. Si ama al di là di ogni lusinga, di qualsiasi risposta, oltre ogni aspettativa.

Dio non ci ama se siamo bravi, se veniamo sempre a Messa, se preghiamo ogni giorno: Egli ci ama e basta, diversamente non si capirebbe la logica della croce che ha portato il suo Figlio a dare la vita per i suoi uccisori, per i suoi accusatori, per gli apostoli che l’hanno rinnegato e tradito e per tutti noi che non siamo certamente perfetti. Allora – potrebbe sorgere la questione – non conta essere bravi o pregare ogni giorno per essere amati da Dio? No, non serve, perché Dio ci ama incondizionatamente, ma serve a ciascuno di noi per aprire il proprio cuore ad incontrare l’amore vero, Dio, che entrando in noi lascia stampato indelebilmente il suo amore e il suo modo di amare, rendendo noi capaci di amare Dio per amare gli altri secondo l’insegnamento della croce, rinunciando a noi stessi per accogliere l’altro non come possesso, ma come dono.

Non amiamo allora come dicono di fare gli infatuati, quelli che hanno le farfalle nello stomaco, quelli che credono di amare, ma in realtà cercano nell’altro la soddisfazione a se stessi; amiamo come Cristo, che non fa calcoli, non sta a guardare cosa e quanto guadagna, perché sa che amare significa anche andare in perdita. E a volte significa anche perdere.