Pentecoste
4 giugno 2017
Siamo tutti diversi, ma tutti uguali. Potrebbe sembrare una grande contraddizione, eppure quello che san Paolo vuole dirci è proprio questo. Siamo diversi tra noi perché diverse sono le nostre capacità, eppure tutte le nostre abilità, se messe insieme, sanno dare molto. San Paolo parla di carismi, io parlo di capacità; l’apostolo parla di ministeri, io traduco con servizi; egli parla di attività e anche io sono convinto come lui che in ogni nostra opera agisce Dio se tutto quello che compiamo in casa, al lavoro, nel volontariato di ogni genere mettiamo le nostre capacità al servizio di Dio e della sua Chiesa. Paolo parla di corpo, io di comunità; egli parla di membra e io di persone; lui parla di Giudei o Greci, io di Ponte Nossa e Ponte Selva; sì, perché le nostre comunità non sarebbero tali se ogni persona non si sentisse parte integrante della Chiesa. Diversi sono i modi di intendere la stessa cosa, perché diversa è l’azione dello Spirito. Scrive san Cirillo di Gerusalemme nelle sue catechesi: “Lo Spirito appartiene ad un'unica sostanza, però, per disposizione divina e per i meriti di Cristo, opera effetti molteplici. Infatti si serve della lingua di uno per la sapienza. Illumina la mente di un altro con la profezia. A uno conferisce il potere di scacciare i demoni, a un altro largisce il dono di interpretare le divine Scritture. Rafforza la temperanza di questo, mentre a quello insegna la misericordia. Ispira a un fedele la pratica del digiuno, ad altri forme ascetiche differenti. C'è chi da lui apprende la saggezza nelle cose temporali e chi perfino riceve da lui la forza di accettare il martirio. Nell'uno lo Spirito produce un effetto, nell'altro ne produce uno diverso, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Si verifica così quanto sta scritto: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (1 Cor 12, 7)”. Lo Spirito, pur essendo uno agisce in modi diversi, come ha agito negli apostoli il giorno di Pentecoste portandoli ad annunciare in lingue diverse lo stesso Vangelo. Così anche noi, pur essendo diversi, con diverse capacità, con attitudini differenti, con passioni molteplici possiamo edificare l’unica e indivisibile Chiesa. Sarebbe infatti un controsenso professarci appartenenti alla stessa Chiesa e distruggerla al suo interno. Sarebbe insensato avere buone qualità e, per futili motivi, non metterle a servizio della comunità per edificarla. Sarebbe sciocco parlare diverse lingue e non intendersi. Le nostre diverse lingue sono i nostri diversi carismi, che messi insieme ci portano a parlare tutti della stessa cosa anche se in modo differente. Guai a noi se non comprendessimo questa logica, perché significherebbe che non stiamo lasciando spazio allo Spirito Santo. Spirito che attraverso il nostro corpo e le nostre abilità ci permette di diventare annunciatori dello stesso Vangelo. Vangelo, cioè bella notizia che non possiamo tenere per noi. Come i due discepoli di Emmaus, che, dopo aver riconosciuto Gesù risorto nello spezzare il pane, sono partiti senza indugio per ritornare a Gerusalemme, così anche noi possiamo correre ad annunciare la bella notizia del Vangelo nella prossima estate e in ogni momento della nostra vita là dove saremo e alle persone che incontreremo. La Pentecoste potrebbe sembrare un punto di arrivo e invece si trasforma per gli apostoli, come per noi, in un punto di partenza. Dice bene Luca negli Atti degli apostoli, parlando di compimento della Pentecoste, perché il compiersi di qualcosa non è la sua fine, ma la sua pienezza e la pienezza della Pasqua è proprio la discesa dello Spirito Santo che porta gli apostoli a costituire la Chiesa aggregando a sé i primi credenti e diventando annunciatori instancabili del Vangelo, fino alla morte. E noi riusciamo ad aggregare quanti incontriamo, facendoli sentire parte della Chiesa, o per dirla con le parole di Paolo, riusciamo a farli sentire membra del corpo di Cristo che è la Chiesa? Se ne siamo allontanatori per paura della novità dell’altro, del perdere il posto, come spesso può avvenire sul lavoro, allora significa che non sta agendo in noi lo Spirito Santo, ma solo la paura di perdere posto, stima, apprezzamento davanti agli altri. La Pentecoste ci spinge senza indugio e senza paura a fare discepoli tutti, avvicinandoci a loro in diversi modi, parlando loro secondo quanto lo Spirito ci suggerisce, collaborando con tutti sapendo che ognuno diventa complementare all’altro e mai antagonista. Lasciamo dunque che lo Spirito Santo ci aiuti a vincere quegli indugi che portano a tenersi le cose buone per sé, che ci chiudono in noi stessi o nel proprio gruppetto. Vinciamo l’indugio di pensare che se la comunità va avanti è perché ci sono sempre gli stessi. Vinciamo l’indugio che anziché farci sperimentare la bellezza della diversità volta all’unità, ci fa crescere egoisti e capaci solo di guardare al proprio ombelico. Spalanchiamo le porte del nostro cuore come spalancate furono dal vento impetuoso le finestre del luogo dove si trovavano gli apostoli con Maria. Lasciamo che lo Spirito ci smuova come il Risorto ha smosso i due di Emmaus, che lasciando tutto immediatamente, ritornarono senza ripensamenti sui loro passi ripercorrendo a piedi quegli undici chilometri che li tenevano lontani dalla Comunità. E cosa sono quei chilometri per noi? Cosa è che spesso ci fa indugiare nell’avvicinarci a Cristo presente nella Comunità? Siamo noi con i nostri mille pseudo problemi o mille scuse o sono gli altri che ci tengono a distanza? Ma attenzione: non diamo sempre la colpa agli altri se in realtà siamo noi a non volerci lasciare smuovere dallo Spirito, perché siamo troppo pigri.