XXIV del tempo ordinario C
11 settembre 2022
11 settembre 2001. Ceecee, Christopher, Diane, Melissa, Kevin, Marcy. E David, Garnet, Berry, Charles, Edward, Daniel, Carolyn, Barbara, Betty, Orio. Si sarebbero potuti chiamare Marta, Diana, Davide, Carlo, Daniela, Marco, Paola, Luca. Sarebbero potuti essere nostro marito, nostra moglie, mamma, papà… I nostri figli. Sarebbero potuti essere persino quell’amico che ci ha ferito o che, oggi, proprio non sopportiamo, la collega antipatica, la rivale in amore. O quei legami così scontati da farci reputare impossibile che un SMS, una chiamata o un bacio possano essere gli ultimi.
I messaggi e le telefonate di Cecee, Christopher, Diane e di altre centinaia di persone sono stati gli ultimi. Erano nelle Torri Gemelle, o in volo, l’11 settembre 2001.
Alcune delle vittime degli attentati sono riuscite a contattare i propri cari prima di morire. Sono SMS e telefonate strazianti, resi pubblici in parte da autorità e familiari delle vittime, in parte da Wikileaks nel 2009.
L’ultima telefonata al marito di Ceecee Lyles, hostess sul volo United Airlines 93: «Ascoltami, mi devi ascoltare molto attentamente. Sono su un aereo. È stato dirottato. Ti amo tanto. Dì ai miei figli che li amo tanto».
Christopher Hanley, 35 anni, chiamava il 911 dall’interno delle Torri: Hanley non capiva cosa stesse succedendo. Chiamava con voce calma: «C’è molto fumo», spiegava chiedendo l’intervento di qualcuno. L’operatore gli suggeriva di non agitarsi, di aprire le finestre. «Stiamo arrivando», assicurava. Ma nessuno ha mai raggiunto Hanley.
Un sms inviato l’11 settembre: “I miei unici pensieri sono per Nicholas, Ian e te”.
L’ultimo messaggio di Diane al suo compagno: “Sono terrorizzata. Ho bisogno di dirti quanto veramente ti ami”. Diane
Un altro sms inviato l’11 settembre: “So che hai una relazione nuova e non ti importa più nulla di me. Ma nonostante ciò che possa accadere oggi sappi che ti amo”.
Un messaggio di speranza: “Papà, ti voglio bene e sono felice che stia bene. Chiamami appena sei a casa”.
Questo racconto ci porta con la memoria a un giorno di odio, di guerra, di violenza e di morte. Eppure dentro questi messaggi si parla solo di amore. Non sembra esserci tempo per odiare, non c’era tempo per dare colpa a qualcuno e non era il momento per sfogare tutta quell’angoscia contro quei bastardi che avevano compiuto un simile attentato causando la morte di più di tremila persone.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Quante volte ci indigniamo e non vogliamo saperne di andare oltre la nostra rabbia; quante volte non vogliamo entrare nella festa perché ancora troppo amareggiati, delusi, feriti da chi ci ha fatto uno sgarbo o non ne vuole più sapere di noi, magari dopo anni di amicizia o di una relazione profonda. Ma Dio ci mostra sempre il lato del possibile, perché all’impossibile ci pensa Lui. E allora se ci sembra impossibile amare e perdonare dentro un contesto di rabbia, ci viene presentato il possibile: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Se tutti la ragionassimo così vedremmo il volto di Dio risplendere nel volto degli altri, comprenderemmo il Signore Dio che, dopo aver ascoltato la preghiera di Mosè che chiedeva a Dio perdono per il peccato del suo popolo, si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo e non lo fece. Così potremo capire San Paolo che a Timoteo scrive: Figlio mio, rendo grazie a Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Se il Signore ha usato misericordia verso il suo popolo infedele e verso Paolo facendolo passare da bestemmiatore ad apostolo delle genti, non avrà misericordia anche di noi che spesso siamo infedeli a Dio come l’antico popolo e bestemmiatori come Paolo? E se Dio usa misericordia verso di noi, non può essere che impariamo ad usare misericordia verso il nostro fratello?
Chissà se capiremo che il tempo che abbiamo su questa terra non è eterno, che noi in questo mondo non siamo eterni, che il tempo fugge e gli imprevisti possono essere dietro l’angolo: è meglio guadagnare tempo amando piuttosto che perderlo in rancori.