II di Quaresima  A

5 marzo 2023

 

La fede non è mai qualcosa di sedentario, ma è dinamica. Non ci permette di stare seduti pacificamente, ma ci slancia verso l’alto, verso Dio, proprio come salire su una montagna o muovere le nostre gambe per una camminata, per una corsa.

La fede ci porta a fare l’esperienza di Abramo e di Pietro, Giacomo e Giovanni: di Abramo nell’accogliere la chiamata del Signore a lasciare la propria terra per dirigersi verso un luogo sconosciuto, ma promesso da Dio, fatta di un lungo cammino che lo porterà verso l’ignoto, ma sempre sotto la guida del Signore; di Pietro, Giacomo e Giovanni, che chiamati da Cristo, salgono fin sulla cima del Monte Tabor per assistere, non inermi, alla Trasfigurazione di Gesù.

La fede ci porta a muoverci, a camminare, ad elevarci a Dio per fare esperienza di Dio, un’esperienza che segni profondamente la nostra vita, come l’ha segnata in Abramo, nostro padre nella fede, e negli apostoli che ce l’hanno trasmessa, tanto da portare Pietro ad esclamare: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Quante volte e in che occasione ci è capitato di poter dire a noi stessi, al Signore e ai fratelli: «È bello per me stare qui alla presenza del Signore»? Fare memoria di momenti intensi di preghiera contribuisce certamente a rafforzare la nostra fede nel Signore.

Cristo ci ha insegnato: «Quando pregate dite: Padre nostro, sia santificato il tuo nome». Santificare il nome di Dio altro non vuol dire che rendergli la santità che gli spetta, una santità che si manifesta nella nostra esistenza ogni qual volta facciamo esperienza di Lui. Certamente significa anche non cedere alla bestemmia, non chiamarlo in altro modo che non sia il suo nome, ma non basta: non c’è miglior modo di santificare il nome di Dio che vivere quella santità alla quale da sempre ci ha chiamati ed entrare nella preghiera come gli apostoli entrarono in quella nube che li avvolse sul monte Tabor durante la Trasfigurazione. Santificare il nome di Dio significa anche accogliere il suo invito ad ascoltare la voce, anzi, la Parola del Figlio suo Gesù Cristo che, mostrandoci la sua gloria, ci immerge nella bellezza della santità divina.

Per chi prega frettolosamente perché ha tante cose da fare, come Marta, oppure si lascia prendere dal pensiero di aver lasciato indietro tante faccende, diventa difficile gustare la santità di Dio e la bellezza del rapporto con Lui, per non parlare di chi ritiene la preghiera un tempo sprecato. Ma è proprio questo il segreto: sprecare. Quando stiamo bene con una persona o in una situazione il tempo passa così velocemente da non accorgerci e quel tempo è sprecato per quella persona o per quella situazione: è uno spreco che vale la pena non trattenere per sentirci felici. Anche la preghiera porta in alto il nostro spirito e per santificare il nome di Dio occorre dargli tempo, un tempo che in fin dei conti ricade in modo positivo e brillante su di noi che ci lasciamo conquistare da Dio, per tornare alle cose belle di sempre in altro modo, più gioiosi, più pacifici, più sereni, più convinti, più carichi.

Abbiamo bisogno di allenare il cuore alla preghiera come si allenano le gambe per una camminata o una corsa: lo step, cioè il gradino che ci porta ad avere muscoli preparati al movimento, diventa segno del nostro cuore allenato dalla preghiera. Il continuo sali-scendi da questo gradino, rinvigorisce i nostri muscoli e ci permette di affrontare la salita di una montagna o la lunghezza di una strada o di un sentiero in modo efficace. Così la preghiera con il Signore ci eleva a lui e non conterà quanto tempo abbiamo “sprecato” per il Signore, perché la santità che si addice al suo nome di Padre la sentiremo nella nostra vita come un’esperienza meravigliosa. Questo sali-scendi dal gradino ci svela proprio questo dinamismo della fede: salire a Dio per trasfigurarci attraverso la preghiera, per scendere alla vita di ogni giorno, con le persone di ogni giorno, nelle situazioni di ogni giorno santificati da Colui il cui nome è Santo. A questo riguardo, ricordo come, durante il mese ignaziano vissuto a Varese al termine della IV teologia, il rettore del seminario, don Pasquale, venuto a trovare me e il compagno con cui condividevo gli esercizi spirituali, immersi in un clima di preghiera, guardandomi rimase sorpreso e mi disse: «Vedo il tuo volto trasfigurato»; inizialmente l’avevo presa come una battuta, ma lui insisteva. Ho pensato che fosse ubriaco, perché di trasfigurato non mi vedevo proprio niente. Ora, pensandoci bene, mi chiedo: che sia davvero la preghiera, ovvero l’esperienza intima col Signore, che faceva brillare il mio volto? Allora la trasfigurazione è possibile anche per noi, per chiunque fa esperienza di Dio nella preghiera.

Pietro, davanti alla Trasfigurazione del Signore, avrebbe voluto fermare il tempo, eppure Cristo stesso lo ha riportato, insieme agli altri, alla vita di quotidiana per affrontarla con più spirito, con più slancio nella fede. Pietro è l’apostolo rinnegatore, l’apostolo fragile, l’apostolo che è scappato davanti all’arresto di Gesù: sarà proprio lui, dopo aver guarito lo storpio al tempio, a confermare nella fede la Chiesa che Cristo risorto gli aveva affidato di nuovo; rivolgendosi a tutto il popolo disse: «Avete ucciso l'autore della vita, ma Dio l'ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. E per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest'uomo che voi vedete e conoscete; la fede che viene da lui ha dato a quest'uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi. (At 3, 15-16)

La fede nel Signore doni a noi nuovo slancio, nel cuore, più che nelle gambe, e ci porti ad elevarci nella preghiera per fare esperienza di quanto è bella la santità del Padre per poi essere vissuta e testimoniata nella vita di ogni giorno: sì, eleviamoci al Padre per santificarlo ed essere da Lui santificati, per contagiare di santità coloro che incontriamo nelle nostre case, figli o nipoti, nella comunità e nella società, per essere tutti santi come il nome del Padre nostro è Santo.