XIX del tempo ordinario A
13 agosto 2023
Cosa serve alla nostra vita per farci esclamare: «Davvero tu sei Figlio di Dio!»? Spesso nella nostra esistenza facciamo fatica a riconoscere la presenza di Dio. Troppe volte nel nostro cammino sembra proprio che dobbiamo incontrare delle situazioni avverse dalle quali essere liberati per riconoscere l’opera di Dio; se non veniamo liberati, siamo subito pronti a sentenziare che Dio non esiste perché non ci ha salvati da qualche avversità.
Proviamo per un momento a pensare a quel giorno, sul lago di Tiberiade. Gesù dopo aver moltiplicato pani e pesci si ritira tutto solo a pregare, forse per fuggire dalla folla che lo stava cercando per eleggerlo suo signore, avendo ricevuto ogni ben di Dio gratuitamente, o forse per tornare a riprendere il suo legame con il Padre dopo un bagno di folla immenso. E se oltre a queste due motivazioni ci fosse anche la terza? Quale? Quella di mandare avanti gli apostoli per far sperimentare loro, da soli, la tempesta che si stava scatenando sul mare, per far comprendere loro che la vita non è fatta solo di successi, di folle oceaniche che applaudono, di momenti di gloria, ma anche di momenti nei quali si prova paura, di momenti nei quali lo smarrimento è più forte della speranza, di momenti in cui si soffre e si rischia di affondare. Perché lasciarli soli? È quello che, di fatto, pensiamo: se Dio è Padre e Cristo è nostro Signore non è possibile che l’uomo sia abbandonato alla prova.
Sarebbe troppo facile sperimentare nella vita solo cose belle, momenti idilliaci, successi a non finire. Questo lo pensano quei genitori che sono sempre pronti a difendere i loro figli, a proteggerli da ogni insuccesso, a custodirli perché non incontrino sofferenze o delusioni. Che stolti! Guardiamo a Cristo: non ha fatto niente di tutto questo verso i suoi apostoli, ma ha permesso a Pietro di sfidare il mare e agli altri di entrare nella tempesta e quasi di affondare, ha concesso loro di sentirsi come i ragazzi di oggi che vogliono apparire forti, belli e invincibili. E poi? Poi affondano. Sono le prove che rafforzano, le batoste che edificano, le sofferenze che aiutano a crescere: questo lo diciamo troppo spesso, ma poi quando ci siamo nel mezzo gridiamo, come Pietro: «Signore, salvami!». Diciamo che arrivare già a gridare verso il Signore perché Egli ci tenda una mano è già qualcosa; ma perché arrivare sull’orlo nel naufragio per chiedere questo? Perché non riconoscerlo anche nei momenti di gioia e normalità?
Spostiamoci per un momento alla grotta di Elia. Tempesta, vento, fulmini e fuoco: Elia sa bene che in quelle avversità non può trovare il Signore, ma lo riconoscerà solo nella brezza di un vento leggero. Certo che il Signore non vuole per noi il peggio, non gode della nostra sofferenza e nel vederci affogare nelle avversità della vita, ma non vuole nemmeno preservarci e chiuderci in una campana di vetro, come fece il Piccolo Principe con la sua rosa. Ricordiamoci bene come la rosa sotto la campana di vetro appassisce, non respira, non riceve la rugiada del vento leggero e nemmeno l’acqua dal cielo. È vero, neppure la tempesta che la rovina e la sgualcisce, ma la rosa, anche se sgualcita dalle intemperie, perde sì i petali, ma non la sua vitalità. Così anche noi potremo prendere batoste, delusioni, incontrare sofferenze e prove, temporali, fulmini e tempeste, ma il Signore, che mai ci abbandona, sa trasformare questi momenti in grazia, quella che riconosciamo solo con il dono della fede.
Il sentiero della nostra esistenza può essere lastricato d’oro o pieno di buche, tuttavia l’oro resterebbe solo un miraggio, le buche, invece, possono diventare un’opportunità, perché da quelle possono nascere dei piccoli fiori che rendono la strada meno pesante e più affascinante. Una striscia di carta bianca può restare tale, senza senso, ma quando viene riempita di disegni, di colori, di parole che sono preghiere che vengono dal cuore di adulti o ragazzi, allora non è più solo un lungo pezzo di carta bianco, ma un sentiero colmo della vita di persone amate dal Signore, colmo di colori sgargianti che dicono gioia, ma anche di colori più cupi che trasmettono dolore e preoccupazione, delusioni e prove. La nostra vita è fatta di tutto questo e dentro la nostra vita troviamo l’opera meravigliosa di quel pittore, il Signore, che sa miscelare i colori sgargianti e cupi per trasformarli nella più bella opera d’arte che è la nostra esistenza. Basta campane di vetro che fanno diventare la vita asettica, scolorita! Come non ricordare quel dipinto tanto caro alla tradizione canora, il dipinto della Madonna dai riccioli d’oro: d’estate sotto il sole e d’inverno tra il gelo e la neve ha perso il suo splendore e la sua bellezza. Ma dal cuore del passante sgorga una preghiera: pastorello e pittore d’un tempo c’è urgente bisogno di voi, la Madonna dai riccioli d’oro, ritornare a rifare per noi.
Il Signore, buon Pastore, che mai abbandona il suo gregge, continui a dipingere per noi: Lui che in Maria, sua e nostra Madre, ci ha dato il volto della bellezza e della purezza, non ci preservi dai momenti tristi della vita, non ritiri dalla tavolozza della nostra esistenza i colori più cupi, perché solo con tutti i colori quell’opera d’arte, che siamo noi, che è la Chiesa, potrà acquistare senso e valore. E se le intemperie possono sgualcire il nostro volto, come il volto della Madonna dai riccioli d’oro, Lui, il nostro Dio, saprà trasformarci in opere d’arte che nessun pittore su questa terra potrebbe dipingere meglio.
O Dio, Signore del cielo e della terra, rafforza la nostra fede e donaci un cuore che ascolta, perché sappiamo riconoscere la tua parola nelle profondità dell’uomo, in ogni avvenimento della vita, nel gemito e nel giubilo del creato. Amen.