Santa Famiglia B

31 dicembre 2023

 

Di solito, alla nascita di un bambino, i parenti, gli amici e i conoscenti si radunano attorno ai genitori per congratularsi con loro per la nuova vita venuta al mondo. Nessuno oserebbe rivolgersi a loro con parole terrificanti o di cattivo auspicio. Tutti i bambini, appena nati, sono così belli che non possono che infondere nel cuore di chi li guarda e sulle labbra parole di apprezzamento. Soltanto una volta cresciuti e divenuti preadolescenti si possono osare parole che mettano in allarme i genitori, li ragguaglino sull’andazzo e sulle problematiche future che, generalmente oggi non vengono prese in considerazione, perché i problemi – dicono – non sussistono. Per non cadere in problematiche che – a detta di tanti – non ci sono, torniamo alla santa famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, una famigliola serena che, trascorsi i quaranta giorni dalla nascita del Bambino, si presenta al tempio di Gerusalemme per i riti di presentazione del nuovo nato, secondo le prescrizioni di Mosè. Una famiglia ligia alla religione, come le famiglie dei giorni nostri che si presentano per chiedere il Battesimo e dichiarano di volersi impegnare di loro spontanea volontà ad educare i figli nella fede e ad aiutarli a crescere in grazia di Dio. Una famiglia normale quella di Nazareth, benché oggi non si possa più parlare di famiglie normali, perché il concetto di normale implica il suo contrario e non c’è nulla di contrario che non sia più normale del normale, quindi viene abolito anche il concetto di normale. Diciamo allora che Gesù, Maria e Giuseppe sono una famiglia che si presenta al sommo sacerdote per i riti secondo la legge, secondo quanto prescritto e secondo tradizione. Ma anche la parola tradizione non si può osare, perché cosa c’è di tradizionale se questo vocabolo rischia di ledere chi ha deciso di non rientrare in questi canoni? Quindi niente normalità e niente tradizione: oggi queste parole sono bandite, inusuali e arroganti. Ma, allora, la famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe cos’è, visto poi che il povero Giuseppe vive la sua paternità in modo surrogato, avendo semplicemente obbedito alla volontà di Dio di fare da padre adottivo per un figlio che non era frutto della sua carne?

In mezzo a tutti gli sproloqui di oggi, nei quali ciascuno cerca di tirare l’acqua al proprio mulino per giustificare tutto e il contrario di tutto, guardiamo alla santa Famiglia accorgendoci che fin dall’inizio non ha goduto della gioia e della serenità che un nascituro porta. Infatti, a Maria, madre di Gesù, il vecchio Simeone non si rivolge con complimenti gratuiti, ma con parole che dette oggi farebbero scattare denunce per diffamazione o quanto meno diatribe, perché la verità non si può più pronunciarla, visto che ognuno ha sempre la sua e il proprio modo di pensare, di agire ed educare non deve essere messo in discussione. Ebbene, Simeone, rivolgendosi a Maria, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l'anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

La previsione si stava mettendo fulminea, l’agitazione di Maria e Giuseppe, a quelle parole, non è descritta, ma non deve essere stata delle più gioiose, tuttavia una cosa ci insegnano questi santi personaggi: ad aver rispetto per il disegno di Dio che si manifesta negli annunci angelici, nella visita dei pastori tra i primi accorsi alla culla, nell’accoglienza delle parole profetiche del vegliardo che attendeva la redenzione del suo popolo e la trova nel Bambino di Betlemme. Ci insegnano, Maria e Giuseppe, che la vita non è tutta rose e fiori, anche quando la pensiamo così o almeno vogliamo pensarla così per non vedere le spine e pensare che i problemi non ci siano; ci insegnano – come Abramo e Sara – a mettere le nostre esistenze e quelle delle nostre famiglie nelle mani sicure di Dio, che non preserva da momenti infelici o non assicura episodi idilliaci, ma ci permette di affrontare con serietà la vita, con le sue gioie e le sue spade, ma anche con la consapevolezza di non essere soli, perché abbiamo Lui dalla nostra parte. E questo non è poco o nulla come si pensa oggi, mettendo Dio al bando e togliendolo di mezzo dalle nostre famiglie.

Le nostre famiglie non stanno in piedi perché siamo bravi o perché Dio le ha impacchettate bene, ma perché Dio le abita, perché abbiamo fatto entrare Dio nelle nostre case e allora, con la forza che viene dal suo Spirito, sappiamo affrontare insieme e con il Signore i problemi dopo averli riconosciuti, sappiamo gioire incoraggiandoci a vicenda per ogni cosa buona, sappiamo fare dei momenti di crisi delle opportunità, sapendo che il Signore sa trasformare le spade in falci che raccolgono erba fresca e buoni frutti trasfigurando le nostre famiglie nella sua famiglia. E questo solo se al suo desiderio di farsi a noi prossimo e alla sua domanda: «Posso entrare?», risponderemo: «Sì, Signore, entra in fretta nella nostra casa».