Ascensione del Signore B

Domenica dell’Unzione dei malati

12 maggio 2024

 

L’apostolo Paolo si chiede: Cosa significa che [Gesù] ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. La domanda sorge allora spontanea: perché discese dal cielo per poi tornare al cielo? Paolo, citando un verso biblico, ci dà la risposta: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ecco: Cristo, uomo e Dio, è disceso sulla terra e sotto terra per portare tutti con sé là dove ora regna alla destra del Padre. Dio, infatti, non si è fatto uomo per il gusto di farsi uomo, ma perché l’uomo potesse godere dell’eternità beata acquistata da Cristo attraverso la sua passione, morte e risurrezione. Questa verità che professiamo nella fede ci spinge ad esserne annunciatori mediante la nostra vita, le nostre parole, le nostre opere. Questo è quanto ha comandato Gesù agli apostoli, apparendo loro dopo la Pasqua, e oggi lo ordina a noi: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». Accanto a questo comando aggiunge anche i segni che accompagnano l’evangelizzazione: «Nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Non solo parole dunque, ma anche fatti; non solo fede, ma anche carità; non solo annuncio, ma anche segni.

Proviamo a riflettere. Scacciare i demoni non è solo una questione di esorcismo, riservata oggi agli apostoli, cioè ai vescovi e ai loro delegati, perché tutti noi possiamo scacciare i demoni che stanno in noi e il demonio più grave e più grande è la cattiveria presente nelle persone. È il demonio che più di ogni altro è difficile da sconfiggere, perché rapisce il cuore dell’uomo e lo manipola, lo attanaglia, lo imbriglia e lo soffoca, portando l’uomo ai suoi stessi atteggiamenti. A rimedio della cattiveria che genera malelingue, violenze e guerre, Cristo annuncia ai suoi discepoli la capacità di parlare lingue nuove, come avverrà nel giorno di Pentecoste. Ma non sarà solo una questione di poliglottismo o di rara capacità: c’è una lingua nuova da parlare nel mondo intero, come nella nostra comunità e questa lingua, spesso sconosciuta, è l’amore che genera carità e tiene lontana la vita dai veleni dell’egoismo e dell’egocentrismo che stanno uccidendo il nostro mondo, le nostre comunità, le nostre famiglie. La nuova lingua dell’amore ci permette di compiere un altro grande gesto che Gesù risorto ha affidato ai suoi apostoli: imporre le mani ai malati. Oggi, queste mani, le imponiamo su alcuni anziani e ammalati della nostra comunità per ricordare, a loro come a tutti, la dolce carezza di Dio che ci assiste in ogni fase della nostra vita: Dio non ci abbandona quando siamo ammalati, quando siamo fragili e vulnerabili, Dio non ci abbandona quando il corpo e lo spirito sembrano lasciarci, anzi, Dio è con noi, anche quando scende la sera della vita. Questo può sembrare paradossale, mentre celebriamo l’ascesa di Cristo da questa terra: ci sembra di essere come quei discepoli che stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand'ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Cristo è asceso non per abbandonarci, come forse pensavano gli apostoli, ma per restare sempre con noi attraverso i segni sacri che in questo tempo pasquale abbiamo celebrato, ricordato e vissuto, segni pasquali di un Dio vivo che è sempre al nostro fianco. I nostri fratelli e sorelle ai quali imponiamo le mani, vengono unti con l’olio che conserva la fede quando il dolore sembra farci perdere la speranza, vengono unti con l’olio che fortifica quando la sofferenza fa perdere le forze, vengono unti con l’olio che guarisce lo spirito quando il corpo è debilitato, vengono unti con l’olio che dona alla vita un gusto nuovo: è il gusto della gioia, che ci fa sussultare come le due cugine, Maria ed Elisabetta, perché, come loro, sappiamo di aver in noi e con noi un Dio che si è fatto uomo per restare sempre con l’uomo e per portare l’uomo alla gloria dei cieli. La Sacra Unzione, o l’Unzione dei malati, non è dunque preparatoria alla morte, ma alla rifioritura della vita; non è il sacramento che porta alla fine immediata, ma alla vita eterna sentendo il sostegno di Dio nella fatica; non è il momento in cui si decide che non c’è più niente da fare, ma il tempo nel quale il Signore risorto ci fa sentire la sua presenza.

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano. Partiamo anche noi, alziamoci in fretta come Maria e sussultiamo come Elisabetta andando verso i nostri fratelli e sorelle ammalati, fragili, sofferenti per portare loro la gioia e la bellezza della Pasqua, la gioia e la bellezza della prossimità del Signore attraverso la nostra vicinanza, la gioia e la bellezza di avere un Dio con il quale sussulteremo nell’eternità e per l’eternità.