XIII del tempo ordinario B

30 giugno 2024

 

Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. È lo stesso mare che ha dato ai pescatori il nutrimento e la sussistenza, è lo stesso mare che ha fatto sperimentare agli apostoli la precarietà della vita. La vita è così: riserva momenti belli e ci fa passare a quelli brutti, momenti piacevoli e ci traghetta in quelli spiacevoli. È il caso del capo della sinagoga: la vita gli ha donato una figlia e la morte gliel’ha tolta. E in questa vicenda Cristo chiede anche a lui di passare all’altra riva: dalla riva della gioia per una vita alla riva della sofferenza per la morte. Ma poiché – dice il libro della Sapienza – Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi, Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano [e] le creature del mondo sono portatrici di salvezza, [poiché] in esse non c'è veleno di morte, Cristo non lascia il capo della sinagoga nel baratro della disperazione: egli vince la morte ancor prima della sua risurrezione per manifestare all’uomo la gloria di Dio col risuscitare la ragazzina dicendole: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava. Àlzati! È il verbo della risurrezione. Àlzati! È l’imperativo che Cristo, figlio di Dio, pronuncia sulla morte. Àlzati! È il passaggio che Cristo permette di compiere a questa ragazza, facendola passare da uno stato dormiente a uno stato vigile, dall’essere sdraiata al rimettersi in piedi, dalla morte alla vita. Aveva dodici anni questa fanciulla e questo non è un particolare secondario per essere annotato dall’evangelista: per gli ebrei è l’età della maturità, l’età nella quale superare l’esame di prova della conoscenza della parola di Dio, l’età nella quale si giunge a una certa autonomia. Ricordiamo infatti come Gesù, quando venne trovato da Maria e Giuseppe tra i dottori del tempio, mentre li interrogava sulle “cose” di Dio, aveva dodici anni e stava dando prova di dimestichezza della Legge. Oggi, la nostra età matura è collocata a diciotto anni: qualcuno si rivela tale, qualcun altro, invece, non ha compiuto questo passaggio di maturazione tanto che non conviene neanche lasciargli in mano le chiavi di casa, figuriamoci quelle di un’automobile. Giocando con i numeri della nostra età matura, potremmo dire che diciotto è dato dal numero 6 moltiplicato per il numero 3: 6 è il numero dell’incompletezza – è infatti il numero 7 quello della pienezza – mentre il 3 è il numero della perfezione, della divinità, che rimanda anche ai giorni della passione, morte e risurrezione, come professiamo nella fede: il terzo giorno risuscitò da morte. Potremmo dire che l’incompletezza umana si incontra con la perfezione divina, perché è Dio che sostiene le nostre fragilità umane come Cristo non ha esitato ad andare incontro alla fanciulla morta. Dio non ha timore delle nostre incompiutezze e spesso della nostra immaturità, delle nostre fragilità e della nostra morte interiore, per questo ci prende per mano e ogni volta ci dice, anzi ci impone: «Dico a te: àlzati!». Se il diciotto vale per noi oggi come passaggio a uno stato di vita matura, il dodici cosa richiama nella Scrittura? È il numero delle tribù dell’antico popolo d’Israele, sulla base delle quali Gesù ha chiamato i Dodici apostoli a seguirlo, figura del nuovo popolo, il popolo della nuova ed eterna alleanza, la Chiesa della quale facciamo parte. È in questa Chiesa che siamo chiamati ad alzarci, a risorgere, ciascuno con la propria età, chiamati a lasciarci prendere per mano da Cristo che, fanciulli o anziani, giovani o adulti, ci rimette in piedi svegliandoci dai nostri torpori, dalle nostre apatie, dalle nostre apparenti morti dell’anima, per metterci nella condizione di gridare a tutti la gioia di essere cristiani, la gioia di passare da una riva all’altra sulla barca della vita, la gioia di ascoltare la sua parola e di trasmetterla a quanti ci circondano. In noi non può mancare la gioia di farci prossimi ai fratelli mettendo in atto il Vangelo di Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza. Queste parole dell’apostolo Paolo ci dicono che abbiamo bisogno del Signore che risvegli in noi la grazia della fraternità cristiana che ci spinga a sostenerci a vicenda gli uni gli altri; abbiamo bisogno di lascarci rialzare dal Signore ogni volta che cadiamo, per imparare a rialzarci vicendevolmente ogni volta che qualcuno crolla, senza la pretesa o l’arroganza di essere ciascuno migliore dell’altro; a bbiamo bisogno di prenderci per mano con la stessa mano di Cristo, per sostenerci a vicenda in ogni passaggio della vita, in ogni passaggio all’altra riva, qualsiasi essa sia.