XIV del tempo ordinario B

7 luglio 2024

 

Il rifiuto: esperienza di vita che non vorremmo incontrare, ma che fa parte del nostro quotidiano. Ci rifiutiamo di ascoltare chi ci sta antipatico, ci rifiutiamo di dare attenzione a chi ci dice parole che ci toccano sul vivo e fanno male, perché vere. Ci rifiutiamo di parlare con chi vuole sempre avere ragione o con chi non sopportiamo. Ci rifiutiamo di guardare in faccia le persone di cui abbiamo timore. Ci rifiutiamo di intessere un discorso quando abbiamo paura di un giudizio. Ci rifiutiamo di esporci e quindi preferiamo chiudere ogni possibilità di interazione.

Ci rifiutiamo di affrontare un argomento quando sappiamo di essere nel torto, ci rifiutiamo di entrare in dialogo quando la questione potrebbe farci male, preferendo ovattarci piuttosto che accettare di metterci in discussione. E chissà quanti altri rifiuti potremmo elencare.

Anche il Signore, come il profeta e l’apostolo, ci parlano della realtà del rifiuto vissuta e sperimentata.

Il profeta viene mandato ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me, dice Dio ad Ezechiele. Essi e i loro padri – continua – si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. E poco importa se ascoltano o non ascoltano la voce del profeta, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro.

Paolo non è da meno quanto a sconforto: è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte. Dentro questo rifiuto che provoca il dolore come di spina nel fianco, Paolo cerca di superare la rassegnazione accogliendo quanto il Signore gli ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». La consolazione umana non sembra bastare, l’uomo ha bisogno di Dio e della sua grazia, grazia che vince anche le nostre più profonde debolezze, grazia che sa medicare le ferite dell’anima, grazia che sa guarire ogni rifiuto che viene inferto come una spina nel cuore.

A Cristo non è andata meglio, per arrivare a dire: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Ci meravigliamo quando troviamo davanti a noi alti muri, porte sbarrate, trincee di indifferenza: il Signore ci richiama però al nostro compito di cristiani: annunciare e testimoniare la sua Parola, che venga accolta o rifiutata. Forse saremo rifiutati non per il Vangelo che annunciamo, ma per altri atteggiamenti, per qualche parola di troppo, o semplicemente per disinteresse; forse saremo rifiutati perché abbiamo detto una verità toccante; forse saremo rifiutati perché i tempi sono cambiati; chi lo sa il perché ci troviamo in queste condizioni. Il Signore vuole fare di noi profeti anche in mezzo a un popolo di persone testarde, indifferenti, menefreghiste. Non ci promette tranquillità e serenità, come non le ha avute lui nel suo pellegrinaggio tra un villaggio e un altro: ricordiamo come proprio a Nazareth cercarono di catturarlo per buttarlo giù dal precipizio sul quale è situata la città.

Cosa fare allora? Smettere di annunciare il Vangelo o perseverare? Chiudersi in se stessi o continuare a sostenere la verità? Aiutare gli altri consigliando la via giusta da seguire o lavarsene le mani e tagliare ogni ponte, ogni via di comunicazione?

Forti dell’incoraggiamento del Signore che anche oggi, come a Paolo, dice a ciascuno: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza», prendiamo spunto dal Signore stesso che manda Ezechiele in mezzo ai ribelli e ai testardi, ascoltino o non ascoltino, sapranno almeno che un profeta è in mezzo a loro; prendiamo spunto dall’apostolo che sostiene: Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo, convinto che non saranno i rifiuti a fermarlo, perché ciò che a lui preme è portare a tutti il Cristo; prendiamo spunto da Gesù che, malgrado i rifiuti della sua gente continua la sua missione percorrendo i villaggi d'intorno, insegnando.