XIX del tempo ordinario B

11 agosto 2024

 

Pensare che nella Sacra Scrittura ci sino solo parole belle, parole gentili, parole che infondo pace è una pura illusione. Quelle sono il rimedio a un malcontento di fondo che è presente nel profeta come nel popolo. Elia s'inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». È scocciato Elia, la chiamata che il Signore gli ha rivolto non sta dando soddisfazioni, ma piuttosto fregature; Elia, per desiderare la morte, è alquanto irritato, sembra non voler più avere a che fare con Dio. Come biasimarlo? Come dargli torto? Dio è esigente, Dio chiama a seguirlo, sembra presentare una vita semplice a chi si affida a lui, poi la fregatura è dietro l’angolo. Non è certamente fuori di testa il grande profeta per essere arrabbiato con il Signore, visto che Gezabele, moglie del re Acab, gli sta dando la caccia dopo che ha sterminato i quattrocentocinquanta profeti di Baal. Elia ha messo a soqquadro la stabilità del regno, facendo passare l’immagine di un potere flebile, insignificante. Eppure, di fronte al rifiuto di Elia nel continuare ad essere profeta del Dio Altissimo, il Signore gli prepara il pranzo, il dolcetto per accattivarsi il profeta, la colazione portata a letto, come fanno certi genitori nel servire i propri figli, nell’inginocchiarsi davanti a loro venerandoli come divinità. In realtà il pensiero di Dio è ben lontano da questa forma di schiavismo genitoriale, è piuttosto l’insistenza di un padre che sprona il proprio figlio a non demordere, a non arrendersi di fronte allo sforzo, a non lasciarsi andare di fronte alle accattivanti proposte di un mondo che non ha più niente da dare ai nostri ragazzi.

Pensieri negativi, che l’apostolo Paolo vuole combattere, scrivendo: non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi. E aggiunge parole quanto mai gravose: Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità. Camminare, mangiare, non mormorare: sono i verbi della fatica, come certamente faticoso è imitare Dio nell’amore che Egli ha per ciascuno di noi. Capire infatti il pensiero di un Dio, il nostro, che non si arrende di fronte alle tante mormorazioni, sembra un’impresa impossibile. Possiamo dire che siamo portati alla mormorazione, al puntare il dito e al pensare in modo negativo. Questo avviene quando ci troviamo a chiacchierare: pensiamoci bene! Quante volte finiamo col puntare il dito contro qualcuno? Quante volte scadiamo nel lamentarci di qualcosa? Quante volte – pur partendo con le buone intenzioni – andiamo a rifugiarci nella critica che di fatto ci permette di sentirci migliori, più bravi o, quanto meno, più apposto? Succedeva così anche al tempo di Cristo, quando i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

La domanda che ci accompagna, dopo il continuo chiederci «Per cosa cerco il Signore?», è semplice: «Cos’ha Dio da darmi?». Insomma, a Elia Dio impose: «Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino», perché con la forza di quel cibo potesse camminare per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb; ai Giudei Cristo ha ribadito di essere Lui il vero pane disceso dal cielo, sottolineando che «chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!»: cosa vogliono di più? Viviamo anche noi immersi in un mondo di continue lamentele e mormorazioni; non ci va mai bene niente, abbiamo sempre di che lamentarci, anche di fronte all’opera più perfetta e ben compiuta abbiamo da ridire o trovare il difetto, altrimenti non siamo contenti. Ai Giudei Cristo ha dato gratuitamente pane e pesce, li ha sfamati fino a farli sentire più pieni di un uovo, ha voluto far capire loro che il pane terreno, come le cose materiali, passano e non sono fonte di felicità, indicando se stesso, Pane vivo e vero, come via per la gioia, quella piena e sicura. E loro? Loro trovano sempre da dire e ridire, tanto da portare Cristo a ribattere: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Abbiamo tutto; abbiamo Dio dalla nostra parte; in Cristo ci ha dato il vero nutrimento per essere persone felici in terra e beati in cielo. Sarà pur esigente Dio, ma ditemi: cosa pretendiamo ancora da Dio, soprattutto quando ci ricordiamo di Lui solo quando fa comodo?

Maria, donna del cammino, ci aiuti a vivere la nostra fede, sostenga con il suo aiuto la nostra carità verso il prossimo e infonda in noi la beata speranza che non ci porta a lamentarci sempre, con e per chiunque, ma a vedere le grandi opere che Dio compie in noi, come le ha compiute in Lei.