XXIII del tempo ordinario B

8 settembre 2024

 

Parlare di poveri è astratto. Se giriamo per le grandi città, come Roma, Milano, Napoli e via dicendo, di poveri se ne incontrano a centinaia in un giorno: quelli che cercano l’elemosina, quelli che insistono per una monetina, quelli che chiedono denaro per comprarsi un pasto, poi magari li troviamo altrove a fare altro. Forse a forza di sentir parlare di poveri – e il Santo Padre lo fa in tutte le occasioni – rischiamo di non sapere più chi siano i poveri, che volto abbiano i poveri, come si comportino i poveri. Inquieta un poco la parola che l’apostolo Giacomo ci rivolge: Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Non sono sicuro che basti questo interrogativo per identificare la questione. Sarà che quelli degli anelli d’oro al dito sanno di esaltati, arroganti, presuntuosi e attirano solo quelli ammalati di onnipotenza, quelli che cercano un posto di rilievo e quindi stendono lingua e tappeti a gente del genere. Ci sono quelli col vestito logoro, dice l’apostolo, che vengono tenuti a distanza, puzzano perché non si lavano e vivono per strada; si confondono con la moda di oggi, quella dal vestito stracciato, fin troppo succinto, banale e volgare che cerca solo di attirare l’attenzione dei maliziosi e infastidisce chi vorrebbe una vita vestita normalmente, con dignità. Partendo dal fatto che oggi chi vive, chi si veste, chi parla normalmente è più discriminato di chi vive di gran lunga sopra le righe, la domanda che sorge spontanea è una sola: chi è più povero, l’uomo dal vestito logoro di cui parlano l’apostolo e il Santo Padre o quello che esibisce se stesso, mette in mostra il proprio corpo cercando consensi, diventa banale e volgare perché è l’unico linguaggio che oggi gli o le permette di essere al centro del mondo? Chi è più povero: quello col vestito logoro o chi commette tragedie senza un motivo? Ditemi chi è più povero?

Abbiamo assistito alla tragedia della giovane bergamasca uccisa da uno sconosciuto senza motivo, che dopo aver importunato alcuni adolescenti ha deciso di colpire una giovane donna chiedendole addirittura scusa prima di ferirla a morte: e tutto senza un perché. Parlandone nei giorni scorsi con alcuni dei nostri ragazzi di questa vicenda ormai avvenuta più di un mese fa, mi guardavano straniati a tal punto che ho chiesto loro se non fossero a conoscenza dell’accaduto; e con la solita faccia ebete mi rispondono di essere estranei alla notizia. Anche questa è una povertà profonda: sempre ricurvi sul cellulare più bello e più costoso, non conoscono nemmeno ciò che succede attorno a loro, come se fossero fuori da un mondo che, in realtà, li assorbe più di una spugna. Abbiamo assistito all’orribile annuncio della tragedia familiare nella Brianza di un ragazzo che senza un motivo appurato ha sterminato la sua famiglia. Dove stanno le povertà, nel vestito logoro o nelle persone logorate da questo mondo impazzito?

Scorrendo i giornali in rete, ecco un’altra storia di povertà, ma non di quella di cui parla Giacomo, né continuamente e ripetutamente il Papa. È la storia di una madre inglese, definita “la mamma più tatuata della Gran Bretagna”, soffre nel non poter fare tranquillamente shopping con i suoi figli che devono comprare il necessario per la scuola. Il motivo? Le persone la guardano male e la criticano, proprio per i suoi tatuaggi: “Sono devastata perché non posso portare i miei figli a fare acquisti. Evito di andare nei negozi la maggior parte del tempo ed è il mio compagno a fare quasi tutte le spese. Ma stavolta volevo esserci come mamma”, ha detto la 47enne. E ancora: “Mi piacerebbe uscire con i miei figli e aiutarli a scegliere le cose che useranno e indosseranno a scuola, ma gli estranei non mi lasciano in pace. Quando siamo nella sezione bambini, gli altri genitori mi fissano. I loro figli mi indicano, alcuni ridono e altri iniziano a piangere spaventati”. Ha spiegato di essere “dipendente dai tatuaggi, ne faccio tre a settimana e non mi fermerò mai, se arrivo a 70 anni li avrò ancora. Ogni pezzetto di pelle sarà coperto. Il mio viso sta già diventando blu, sembro un Puffo”. Sulla difficoltà di aiutare i figli a comprare le cose per la scuola ha aggiunto: “Devo coprirmi il viso con uno spesso strato di fondotinta. È difficile perché i miei figli hanno bisogno di nuove uniformi e articoli di cancelleria come tutti gli altri bambini. A loro non importa che io sia tatuata, quindi non capisco perché sia un problema così grande per gli altri, specialmente per i genitori”. Le viene chiesto se si pentisse di essersi tatuata così tanto. “Amo il mio aspetto. Non dovrei dover nascondere il mio corpo agli altri. I miei tatuaggi dovrebbero essere accettati e compresi”, ha concluso.

Io mi chiedo: in che direzione stiamo andando? Sono sbagliati quelli che la guardano con imbarazzo e un po’ spaventati (che a guardarla ha impressionato pure me) o non piuttosto è fuori fase questa storia di dipendenza? È così brutta la normalità da essere oggi additata e giudicata male o forse stiamo cadendo in una povertà di senso tanto da andare sempre più a fondo?

Scrive il profeta Isaia e ne fa eco Gesù nel Vangelo: Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua. Se il profeta, con queste espressioni, parla di un mondo che si rovescerà, passando dal male al bene, invochiamo il Signore, perché il mondo di oggi, andato ormai di male in peggio, possa svegliarsi, i cristiani possano ancora rialzare la testa e spalancare il cuore, non per assecondare tutte le pazzie di questo tempo, ma per conoscere tempi nuovi, tempi belli, tempi nei quali la povertà di cui si parla e straparla non sia solo quella del vestito logoro, ma ci si faccia prossimi a chi ha la mente e il cuore ormai lacerati da questo mondo e da chi su un palco ne domina la scena facendo passare il normale per una cosa scandalosa, anziché promuovere il vero bene che vinca la bruttezza di questi tempi.